“The Apprentice”: il racconto dell’ascesa di Donald Trump

Ali Abbasi tra satira e tragedia, per una pellicola bene interpretata e dal buon ritmo

Un film di Ali Abbasi. Con Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova, Martin Donovan, Emily Mitchell. Biopic, 120′. USA, Danimarca, Irlanda, Canada 2024

Donald Trump non ha ancora trent’anni ma è già divorato dal desiderio bruciante di diventare il re dell’immobiliare nella Grande Mela. In un club esclusivo, dove è riuscito ad infilarsi per conoscere gli uomini più in vista della città e cercare di capire come sono diventati miliardari, viene notato da Roy Cohn, uno squalo di avvocato celebre per aver mandato alla sedia elettrica i Rosenberg ed essere stato uno dei fautori del maccartismo. Cohn vede nel giovane Trump un suo alter ego ancora da sviluppare, e Trump farà presso l’avvocato quell’apprendistato nell’arte di fare affari (che diventerà il titolo dell’autobiografia del 45esimo presidente degli Stati Uniti) basato su alcune regole fondamentali: attaccare sempre, negare tutto, e non ammettere mai una sconfitta. Col tempo il rapporto fra i due si ribalterà e l’allievo supererà il (cattivo) maestro in cinismo e mancanza di scrupoli.

 

Il primo passo per battere un avversario, in ogni campo e settore, è conoscerlo a fondo. Ma in politica, al tempo dei social, non sono necessarie grandissime indagini per scoprire “gli scheletri nell’armadio” del personaggio di turno.

Accusato di aver sobillato l’assalto contro Capitol Hill, attualmente sotto processo a New York con l’accusa di corruzione, Donald Trump si appresta, eccetto sorprese, a conquistare la terza nomination consecutiva per il partito repubblicano e a correre, a novembre, per la presidenza degli Stati Uniti. Quando si dice che non necessariamente le magagne ci affossano…

“The apprentice” di Ali Abbasi, presentato in concorso a Cannes, si propone di raccontare le origini di “Donaldone”, come un ragazzo timido e impacciato, schiacciato dalla figura paterna, si sia trasformato in un peso massimo della bugia e della manipolazione.

Il film inizia, non a caso, con un filmato di repertorio che vedere il presidente repubblicano Richard Nixon negare pubblicamente di aver mai mentito, fatto spiare i suoi avversari politici e tratto vantaggio dalla sua posizione. Pochi mesi dopo Nixon sarà costretto a dimettersi per il caso Watergate.

L’incontro che ha cambiato la vita di Donald Trump avviene quasi casualmente in un ristorante, quando viene invitato a sedersi al tavolo da un signore magnetico e cortese che scopriamo poi essere Roy Cohn, un celebre avvocato dai molteplici contatti e dai pochissimi scrupoli, capace di condizionare la vita politica ed economica della Grande Mela. 

Cohn decise di prendere sotto la sua ala il giovane, diventandone il mentore e consigliere. L’uomo usa tutta la sua influenza per impedire una causa che avrebbe portato al fallimento dell’azienda edile di Trump Senior, e in seguito sostiene l’ambizione di Donald nel costruire la celebre Trump Tower. E gli insegna tre regole auree per eccellere nell’arte di fare affari: attaccare sempre, negare tutto e non accettare mai una sconfitta. 

Nella seconda parte del film, si vede come Trump abbia recepito e fatto sua la lezione, arrivando a superare il maestro e ribaltando i rapporti di forza con Cohn. Emblematica in questo senso è l’ultima scena di “The Apprentice”, con il mentore, ormai in fin di vita, che mostra delusione e disgusto per la persona che ha contribuito a creare.

Alla sceneggiatura corrispondono anche le performance degli attori. Jeremy Strong domina la scena, come era prevedibile, all’inizio; Sebastian Stan “si sveglia” dopo, rappresentando anche con il cambio di postura e gestualità la trasformazione da brutto anatroccolo a uccello rapace.

“The Apprentice” è un film interessante, ben interpretato, e anche se sembra di avere davanti una pellicola televisiva più che da Festival del cinema, ci auguriamo che serva almeno agli elettori americani per farsi un’idea di chi potrebbe diventare Presidente degli Stati Uniti. Di nuovo. 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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